Le 95 tesi

  1. Tutte e tutti devono poter vivere bene
  2. Vivere bene non significa sopravvivere, ma soddisfare i propri bisogni e sviluppare desideri indipendentemente dalle proprie possibilità
  3. Vivere bene significa avere la scelta di rifiutare i ricatti, che siano quelli sul lavoro, per i documenti o per la casa.
  4. Il ricatto è la forma di dominio attraverso cui una persona, un gruppo o l’istituzione, sottomette chi grava in condizioni peggiori.  
  5.  Vivere bene significa poter non accettare le briciole con le quali i pre-potenti mascherano i ricatti ed allargano la forbice che li separa dai primi.
  6. Essere liberi, ovvero poter considerare gli esseri umani non come mezzi per l’accumulazione della ricchezza, né come fini in sé, ma piuttosto come semplici modi del mondo.
  7. Liberi, ovvero non farsi imporre i ritmi di vita dalla frenesia della metropoli, rivendicando la specificità temporale della vita nel territorio.
  8. Territorio: uno spazio fisico, temporale e relazionale in cui costruire modi di esistere e vivere bene.
  9. Le politiche di un territorio per poter essere pensate in questo modo (vedi sopra) sono da costruirsi in primis tra le comunità che lo abitano, che ogni giorno si incontrano o si scontrano per le stesse strade.
  10. Pratiche ecologiche di quartiere, ovvero prendersi cura dell’Altro, dei suoi limiti e della sua potenza, affinché ognuno sia sicuro…di non rimanere da solo passibile di ricatti.
  11. Tali pratiche sono il politico: nulla a che fare con la politica.
  12. Politico deve essere: intrecciare legami di solidarietà e mutualità; 
  13. conoscere chi si ha intorno e partecipare alla vita dello stesso quartiere o condividere simili necessità, trasformando la paura dell’estraneo in conoscenza del vicino, la reciproca sfiducia in relazioni. 
  14. Serve un atto di fede.
  15. I legami di mutualità e l’organizzazione garantiscono che le trasformazioni seguano le necessità di chi vive il territorio, ovvero dell’intrecciarsi delle comunità, e non meri interessi economici.
  16. Gli abitanti più radicati, come quelli appena giunti, devono farsi carico dei problemi del territorio e di chi ci abita, cooperare affinché il quartiere migliori per tutti.
  17. Per questo ogni trasformazione o cambiamento richiede tempo e cautela.
  18. La vita non ha la stessa velocità del denaro.
  19. Il politico va organizzato perché non si può delegare.
  20. “Non ho tempo” non vale.
  21. Al momento le politiche sui quartieri di Milano vanno in tutt’altra direzione.
  22. Il centro, come zona esclusiva, si sta esponenzialmente allargando; i quartieri più popolari e periferici sono oggetto di grandi investimenti e trasformazioni radicali.
  23. Cambiamenti atti a rendere la città più competitiva a livello europeo ed appetibile a nuovi investitori privati: per mettere a profitto il territorio
  24. Le vite che prima si incrociavano disordinatamente nelle strade diventano ora un ostacolo, un’emergenza da annullare o recuperare.
  25. Ormai smantellato il sistema produttivo (le grandi fabbriche), si cerca una nuova fonte di profitto, quella fatta dalla vendita dell’ “esperienza di Milano”.
  26. Milano si trasforma in una città-vetrina da consumare.
  27. Dove il consumo è diventato strumento per esaltare la capacità e la realizzazione individuale.
  28. L’esultanza di fronte all’assegnazione delle Olimpiadi a Milano-Cortina o la rivoluzione ecogreen si inseriscono esattamente in questo sistema di valori. 
  29. Le priorità sono chiare: mettersi in luce a livello mondiale per rendere appetibili gli investimenti dei grandi capitali esteri e privati, facili le speculazioni ed i guadagni personali, grande la fama di chi la governa.  
  30. I sacrifici per rimanere o venire a vivere a Milano sembrano più che giustificati.  
  31. Potersi permettere la vita nella metropoli, ogni giorno più costosa, diventa il criterio principale di selezione dei suoi abitanti, un merito da acquisire. 
  32. Da una parte diffonde un marketing attraente per richiamare turisti e abitanti, dall’altra esclude e marginalizza chi non può più permettersi la vita in città.
  33. La lotta alla povertà si trasforma nell’eliminazione fisica dei poveri. Si impone un modello di vita che deve essere rispettato per poter continuare a vivere nella metropoli.
  34. Spesso ci si dimentica di chi ha sempre vissuto la città, soprattutto di chi dai suoi margini ha sempre sostenuto la sua economia, ed ora si trova coinvolta in nuovi progetti di gentrification.
  35. La gentrification è l’imborghesimento di un territorio.
  36. Porta con sé un radicale ricambio di popolazione e costringe fasce di popolazione a lasciare i luoghi dove si sono radicate
  37. Popolazione marginalizzata ed esclusa dall’abitare la città eppure forza necessaria per sopperire a tutti quei lavori economicamente fragili (colf, badanti, etc…) utili, tra l’altro, solo in centro città. La gentrification si fonda sulle sue contraddizioni.
  38. è un processo utile principalmente ai grandi privati, a cui viene svenduta la città per poter correggere buchi di bilancio in comune e pregiarsi di attrazioni utili ad attirare il nuovo popolo.
  39. Attenti dunque a non cadere ingannati dai lustri con cui viene annunciata 
  40. Spesso è mascherata dietro il nome di riqualificazione o rigenerazione, che però non significa miglioramento, ma costruzione di qualcosa di nuovo: quello che c’era prima viene considerato inutile, dannoso, sporco, schifo per cui va soppiantato dal nuovo che è giovane, bello, divertente, ecologico!
  41. Spesso viene mal interpretata dai piccoli proprietari come una gentilezza del fato, la possibilità di guadagnare qualcosa, quando i primi guadagni sono solo sintomo delle future sventure.
  42. Ingrandiamo la lente. Le politiche sul quartiere di via Padova, oggi più conosciuto come Nolo, stanno promuovendo un radicale ricambio degli abitanti e degli usi del territorio: un processo di gentrification.
  43. La storia del quartiere sta piano piano scomparendo e chi ci vive fa più fede ai giudizi giornalistici e televisivi che alla reale situazione che ha sotto casa.
  44. Il quartiere di via Padova, storico quartiere di immigrazione, abitato principalmente da classi sociali deboli e meno agiate vive sicuramente situazioni problematiche o difficili.
  45. Qui, storicamente, chi non poteva permettersi il centro della città è sempre riuscito in qualche modo a cavarsela, attraverso un curioso mutualismo che animava quotidianamente le strade del quartiere.
  46. Una vitalità multiculturale e creativa, che colora e arricchisce il territorio, i suoi muri, le sue strade, la sua storia. Una vitalità ed un colore troppo facilmente brandizzabili.
  47. Tutto ciò, inutile nasconderlo, ha attratto gli interessi di molti.  
  48. Tra via Padova/viale Monza ora i muri vengono dipinti sotto rigide disposizioni e lauti finanziamenti pubblici e privati che contribuiscono all’innalzamento dei prezzi.
  49. Aprono ovunque agenzie immobiliari, nuovi bar, minimarket, esercizi commerciali trendy.
  50. Si diffondono eventi accattivanti, in realtà fenomeni transitori ed inconsistenti.
  51. BienNolo, Fringe Festival, Fuori Salone, Week end della Moda: narrazioni di un mondo effimero che gradualmente, ed in modo non troppo fine, trasformano i modi di abitare il quartiere.
  52. Una prima selezione all’ingresso, una prima scrematura tra chi da fuori arriva in quartiere attirato dai nuovi prodotti artistici, dalle nuove vetrine lucidate a puntino, e chi invece subisce l’innalzamento dello stile di vita.
  53. Nolo è un’operazione di facciata. 
  54. Nolo è un’operazione di marketing condotta attraverso la creazione di una fine opposizione tra il degrado e il decoro.
  55. Parlare di degrado vuol dire non prendersi cura del quartiere, opporre il decoro alla povertà.
  56. Parlare di degrado vuol dire guardare al proprio vicino come un estraneo, trasformare i suoi problemi in ciò che mi infastidisce.
  57. Parlare di degrado vuol dire guardare il quartiere dall’esterno e non considerare la storia che lo ha animato.
  58. Significa trasferire aspettative che generalmente si risolvono altrove in territori la cui vita si nutre di altro.
  59. Come voler trovare il mare in montagna, e poi finire per sradicare una foresta e costruirci un lago.
  60. Tutto al solo fine di creare aspettativa e rendere giustificabile il trasferimento del popolo indesiderato ed ormai fuori luogo, e l’avvento di quello in tinta con le nuove esigenze, le nuove regole, i nuovi prezzi. Il popolo decoroso.
  61. La gentrification è una questione di popolo, del popolo che viene indicato come l’eletto a godere della nuova district, ovvero quello la cui immagine può garantire maggior profitto e controllo sociale.
  62. Il popolo dei consumatori biofriendly e dei turisti desiderosi di non perdersi niente, quei soggetti che oggi sono disposti alle spese maggiori.  
  63. Un popolo di fantasmi, che si anima nel fine settimana.
  64. Un popolo che richiede case per 3 o 4 giorni, disposti a pagare alti affitti.
  65. il popolo degli airBnB e di Ebooking
  66. Sempre più case restano vuote, si riempiono nel fine settimana, dieci giorni al mese
  67. Sempre più persone ricevono lettere di sfratto o revoca degli affitti, perché non è più il momento dell’indulgenza, ma del profitto
  68. Il nuovo popolo ha bisogno di spazio, gli è richiesto un nuovo look.
  69. Ora la trasformazione del quartiere passa attraverso piccole violenze quotidiane, in cui si delega al diritto giuridico la relazione di vicinanza.
  70. La trasformazione del quartiere a tutti conviene, a tutti i proprietari, beninteso, saltano i rapporti di mutualità, si accusa il vicino di rovinare una piccola fortuna, si cancella la storia
  71. si creano nuovi legami, legati al denaro, rapporti superficiali, di convenienza.
  72. Comincia la paura.
  73. La propaganda politica trova spazio per presentare l’aggressività e l’invadenza dell’apparato securitario e repressivo come necessarie per la salvaguardia dell’”ordine” e della “pace”.
  74. Ognuno ha bisogno di difendere la propria fortuna, aumentano le cancellate, la richiesta di telecamere e anche quella di polizia e militari.
  75. In quartiere non si parla d’altro se non di sicurezza. 
  76. I realtà i problemi (ciò che viene considerato degrado) vengono solo ingigantiti, poi spostati e nascosti, nulla viene risolto.
  77. L’importante è che nelle persone aumenti la percezione di pericolo per cui è necessario richiedere più sicurezza. 
  78. Ogni scusa è buona, da un marciapiede sporco a qualcuno che urla spaventato, si costruisce l’immagine di un corpo fragile delle donne per giustificare un maggior controllo
  79. L’importante non è risolvere i problemi, il che presupporrebbe impegnarsi in una maggior comprensione di ciò che accade in un territorio, ma aumentare il controllo sociale e la percezione che serva maggior sicurezza. 
  80. La sicurezza serve a rendere impossibile che i progetti di gentrification trovino ostacoli, o contrapposizioni. Che gli investimenti non portino altrettanti guadagni.
  81. La sicurezza è la scusa per garantire ad un nuovo ordinamento un avvento di successo, per spezzare i legami e le relazioni nel quartiere.
  82. Nessuno più si conosce, tutti hanno paura, e allora tutti invocano i prossimi cambiamenti
  83. forse non consapevoli che saranno i prossimi ad andarsene
  84. Mitizzare il passato e le forme di vita che prima attraversavano il quartiere è sicuramente sbagliato, non accorgersi che dietro i proclami di migliorare il quartiere si nascondono altri interessi è da ingenui. Non fare nulla significa diventarne complici. 
  85. Il meccanismo di gentrification  va compreso e contrastato.
  86. La vita che propone (che mette al centro denaro, casa, famiglia, lavoro, carriera e competizione) e che, a un primo sguardo, potrebbe apparire tutta bella e desiderabile, in realtà nasconde solitudine, depressione, crisi familiari, psicofarmaci, paura.
  87. È dunque necessario elaborare altri modi di intendere la vita in città e nei quartieri che non sia nemmeno la forma passiva di chi sente perdente, affogato nel nichilismo e nel piacere. Di chi della vita ha perso ogni senso.
  88. Serve scoprire una terza via di abitare la città, la vita del ribelle.
  89. Si può farlo solo riuscendo a sovvertire i processi di deteritorializzazione, ritrovarci finalmente abitanti di un territorio.
  90.  immaginare nuovi modelli socioeconomici territoriali ed autocentrati sui bisogni degli abitanti, 
  91. modelli autosostenibili e capaci di generare ricchezza sociale, valori d’uso condivisi e benessere collettivo.
  92. La prima rivolta è la rivolta contro se stessi, contro ciò che ci lega ad una vita che non determiniamo e ci sfugge.
  93. Dobbiamo organizzare il nostro esodo, non una fuga, ma una costruzione collettiva, interna ed intensiva. 
  94. Immaginare una nuova forma di abitare la città. 
  95. Serve un’altra idea di quartiere.

 

Martin Loreto