sPunti di riflessione

Ci sentiamo parte di una moltitudine che racchiude le diverse e i diversi, le scontente e gli scontenti, le oppresse e gli oppressi, incontentabili e ribelli. Siamo ciò che resta dopo la fine della normalità.

Il nostro luogo di incontro è la metropoli alla sua fine.

La costruzione di un immaginario che fa di noi ciò che vogliamo diventare è la ragione del nostro stare insieme.

Cerchiamo di continuo la rottura con il presente, un punto di fuga, la reinvenzione di un’altra prospettiva.

Il nostro immaginario è un incendio non domabile ed allo stesso tempo progetto architettonico che si chiama “altro mondo possibile”.

Vogliamo disertare questo mondo e costruire una comunità completamente diversa.

Il nostro fine è vivere bene insieme alle e agli altri.

Vivere bene non significa sopravvivere ma soddisfare i propri bisogni e sviluppare desideri oltre le nostre stesse possibilità individuali.

Vivere bene significa poter rifiutare i ricatti di questo mondo che siano quelli del lavoro, della casa, della cittadinanza.

Non vogliamo ciò che chiamano “società del capitale”, ossia il mondo dominato dalla merce, dal denaro, dal potere, dalla proprietà, dal diritto, dallo stato, dal patriarcato poiché fondata sullo sfruttamento.

Non vogliamo un mondo in cui ogni aspetto della vita, sia materiale che affettiva, sia mercificabile, standardizzato, riproducibile e vendibile.

Non vogliamo una vita dove al centro ci siano il lavoro e il denaro.

Non vogliamo una cultura che ci insegna che questo è l’unico mondo possibile e l’unica vita accettabile.

La vita che questa società ci propone è detestabile e produce continuamente infelicità, depressione, solitudine, paura.

Vogliamo lottare per una comunità nuova, non ci interessa la presa del potere inteso come dominio.

I modelli socialisti sono stati dei tentativi di instaurare dei sistemi alternativi agli stati capitalisti, tentativi falliti dopo anni senza aver messo in discussione la visione scientista della natura e il patriarcato.

Non crediamo in uno stato diverso, nelle guerre per la democrazia, in un lavoro più libero, in una famiglia più democratica, in una società dei diritti.

Siamo semplicemente contro lo stato, contro il lavoro, contro la famiglia, contro il denaro, contro la proprietà privata.

Non per essere contro ma perché abbiamo sperimentato che quei barlumi di felicità che hanno attraversato le nostre vite sono nati solo fuori dallo stato, dal lavoro, dalla famiglia comunemente intesa e dal denaro.

A questo mondo non abbiamo nulla da chiedere, nulla da rivendicare.

A noi invece chiediamo molto: l’organizzazione di un esodo, non una fuga, ma una costruzione interna ed intensiva di un altro modo di immaginare e vivere insieme.

Ci piace pensarci, qui e ora, nel tramonto della metropoli, sul bordo della fine del mondo, a cospirare insieme ad altre e ad altri, cioè a condividere lo stesso spirito, come antiche comunità che prima di condividere il pasto condividevano un bacio.

Quelle e quelli di Via Padova e dintorni